Il rito solenne delle votazioni comunali a Chiaramonti di Ange de Clermont

Momento democratico, momento solenne in paese: dalle elezioni di Chiaramonti dipenderà il destino del mondo, compresa crisi economica, terremoti e maremoti. Io so soltanto che entro il 18, per aver voluto farmi un nido presso le mie radici, mi dovrò pagare 300 euro, I rata, di IMU, per l’immondezza  circa 150, per l’acqua non ne parliamo: è un mistero buffo, ci abito si e no 4 mesi e sono costretto a pagare il doppio di quanto pago a Sassari. Servizi: pago per 8 mesi, che non ci sono, acqua, immondezza, internet, e come ho già scritto IMU a caro prezzo. So che nessuno di coloro che vinceranno le elezioni potranno muovere un dito, per attutire le pesanti tasse, so che la maggior parte dei soldi del comune andranno a pagare gl’impiegati e soltanto le briciole al sindaco e agli assessori, so che continuerò ad essere discriminato nell’illuminazione, con luci vecchio stile, mentre nel paese ci sono quelle più eleganti, so che l’erba secca non verrà tagliata come ogni estate davanti a casa mia, a rischio di zecche, che  il mio cortile sarà ripieno ogni venerdì di cartaccia di ogni genere e di pipì commerciale, dopo il mercatino degli ambulanti, so che il fosso nella strada tra l’asfalto ed un orribile acciottolato lo dovrò riempire io con i resti di cemento, so che dovrò godermi dei muri bruttissimi alla vista, so che dovrò godermi due bei pali della telecom che mi segano la vista del bel panorama, so che pur di mettere un  altro palo coloro che si avventurano nella discesa con pendenza 20% gradi troveranno un cartellone che dice 20% in salita, so che durante l’estate dovrò godermi fino a tardi la musica non sempre intonata di gruppi musicali, l’odore mattutino della pipì che spettatori e protagonisti del palco emetteranno dalle loro vesciche nei pressi di casa, so che dovrò vedere adolescenti nascondersi dietro i muri per fare anche i bisogni lunghi oppure per riscaldarsi, so che le api a schiera verranno a cibarsi nel mio pergolato verde, so che il comune è carico di mutui che paghiamo dagli anni settanta. So che i sindaci si porteranno orgogliosi la striscia tricolore e per il resta: aiutati che il Ciel t’aiuta. Non parlo delle richieste, ad esempio, per festeggiare con i miei coetanei i 70 anni, risposta, privacy! Bassanini, tutto alla burocrazia, testa di legno!

Però il comune c’è come simbolo di libertà municipale che si perde nell’aria e si volatilizza. So che il mio comune è povero di mezzi e che per ottenere finanziamenti, per pubblicare un semplice libro di 144 pagine deve allungare le mani verso 5 o 6 enti. Nonostante tutto però il Municipio è lì a dire che siamo un paese democratico, che in piazza puoi esprimere le tue libere opinioni, salvo ad essere severamente redarguito da qualche vecchio notabile in via di rincoglionimente che tenta di imporre il pensiero unico. So che il mio paese ha un’alta percentuale di atei, di massoni pratici, di non battezzati né cresimati né sposati in chiesa, nè in Municipio: comunità libera e guadente, cipria! So che certi ingressi del paese non sono invitanti, che le campagne sono ripiene di porcilaie abusive, di cimiteri di macchine, che i boschi vanno man mano scomparendo, che il Monte di Chiesa comincia a franare e attende la forestazione da vent’anni, che la gente va a costruire, se glielo permetti, anche in “punta de campanile”, so che in 74 anni di vita sono stato invitato a fare un pubblico discorso una sola volta dagli amministratori comunali e che è successo il finimondo. Mi hanno detto chiaro e tondo che al massimo sono un chiaramontese emerito. Eppure nonostante tutto a Chiaramonti c’è aria buona, i compaesani ti lasciano passare per le strade, se vuoi salutare saluti e se no se ne infischiano. Quando ci sono manifestazioni canore o musicali non si sbucciano le mani ad applaudire. Non c’è ricotta, ma fanno la sagra delle ricotta e del formaggio, abbiamo una fattoria didattica, un numero infinito di agriturismi,  una sola rana, eppure facciamo la sagra della rana, 12 nuclei familiari inglesi che hanno ristrutturato ben 10 0 12 casette e palazzotti che giacevano lì con gli occhi stralunati sperando nel futuro. Abbiamo una famiglia tedesca che vive senza allaccio all’acqua, alla luce, alle fogne e vive nature. La disponibilità finanziaria del Municipio democratico è quasi nulla, ma il simbolo democratico, nato con La Comune nel 1771 con un sindaco e tre capi casa del mondo artigiano, pastorale e agricolo. Nato come Comune semidemocratico nel 1848, democratizzatosi via via nel corso dell’ultimo ottocento, podestarile nel ventennio fascista, repubblicano dal 1948 in poi,  dato in appalto da Bassanini, che non so se sia da definire un gran cornuto, ai capiufficio che nel loro ambito sono padroni assoluti e che possono dire al sindaco di fare marcia indietro, siete solo i nostri cani da guardia, ma non vi è lecito immischiarvi sugli affari del nostro ufficio. Lo stesso segretario comunale un tempo capo della burocrazia oggi è un semplice coordinatore. Eppure tanti aspirano a governare questo povero, misero, ma  dignitoso comune che in genere fa o non fa le poche cose che può fare, ma che tuttavia è un simbolo della nostra libertà democratica, perbacco! Fascia tricolore, corona ai caduti, discorso, in processione per San Matteo, tasse molte tasse, quelle che lo Stato impone e che il Comune aumenta, avanti marcia! Vinca chi avrà catturato il consenso della maggior parte dei cittadini, quelli con diritto di voto, io sono senza voto, voto a Sassari, altro simbolo e altro  e peggiore discorso. Il rito si svolgerà stamane e domani fino alle ore 14 e poi una gran festa per nulla, la festa della vittoria simbolica conquistata non sbudellandosi, ma a colpi di voto e vi par poco. Eh, balla! Martedì la vita continuerà come prima: il sindaco se vorrà mangiare dovrà riprendere il suo lavoro, gli assessori lo stesso, i consiglieri contano quanto un due di briscola, immaginiamoci le assemblee di categoria che non sanno nemmeno dove stanno! Il municipio c’è però per rappresentare tutta la comunità ed è inutile che la comunità venga convocata in assemblee, per decidere che cosa? Gli aumenti degl’impiegati che la legge impone, la revisione delle liste elettorali, l’appalto della pulizia dei giardini per quattro euro l’anno o la grama pulizia del cimitero? Cifre da morti di fame con i tempi che corrono. Costituiscano piuttosto una commissione di teste pensanti capaci di leggere i bilanci regionali, nazionale ed europei per tentare di rosichiare un pò di soldi. Abbiamo mai chiesto qualche lume dai figli dei nostri emigrati che oggi lavorano nella complicata burocrazia di Bruxelles? Con i soldi si fanno le opere  e si produce lavoro per gli abbuccabertas non con le assemblee inconcludenti o ancor più  di categorie che pensano al proprio tornaconto.

Procuratevi i soldi per acquistare dai Grixoni-Eredi quella foresta amazzonica che ancora dà ossigeno al paese, invece di andare a cercare su siddadu!

Zizzu Zizzu Murgia/l’ant fatu deputau/ in sa camera est intrau/a coa muzza nd’est torrau/ Su sidagu de Tzaramonte/cumandat cantu su grillu/si cuat in de Piluchi su ponte/ e pustis ballat su dillu/dilli dillli /dilli  dalla /a benides comare Giuannedda/a ballare su dillu in  Funtanedda/dae chent’annos l’ant abbandonada/torramus a falare a samunare!/ Dilli dilliri dalla!

Categoria: versos in limba

Poesie di Giangavino Vasco a cura di Domitilla Mannu

Non bi poto torrare

 

Non mi che cherzo ‘ettare

in bratzu ‘e sos ammentos,

ca timmo de non bider prùs in ojos

cust’abba ‘ettande a mojos,

sa furia ‘e sos bentos

ch’in custu logu sighin a sulare.

Categoria: filologia

Studi storici sui dialetti della Sardegna Settentrionale, VI, di Mauro Maxia

Le palatalizzazioni nei dialetti della Sardegna settentrionale

Da un punto di vista sincronico, sulle palatalizzazioni che caratterizzano i dialetti della Sardegna settentrionale si può affermare che gli studi condotti fino ad oggi hanno detto praticamente tutto quello che era ed è possibile osservare. Alle indagini di Wagner e Bottiglioni si sono aggiunte, alcuni anni fa, le osservazioni di Paulis che hanno completato in modo esaustivo il quadro delle conoscenze sull’argomento. Non solo, le analisi strumentali di Contini consentono perfino di individuare le linee evolutive del fenomeno, la cui vitalità, almeno per quanto attiene alle aree periferiche rispetto all’epicentro dell’innovazione, non sembra essere giunta al termine. Ciò si comprende bene se si inserisce questo discorso all’interno di un orizzonte in cui agiscono altri fattori che concorrono alla dilatazione o, al contrario, alla regressione delle innovazioni di tipo linguistico. Fattori che altri studiosi hanno da tempo individuato nel prestigio che una determinata varietà può acquisire a seguito dell’espansione della sfera d’influenza politica, economica, amministrativa e culturale da parte dell’area demografica di cui è espressione.

Successivamente da tale area l’innovazione può propagarsi a quelle finitime oppure può essere “paracadutata” in una exclave, in genere rappresentata da un centro più evoluto rispetto ad altri, e da quest’ultimo seguire autonome vie di espansione.

Tutto ciò da un punto di vista sincronico. Dal lato diacronico le cose sono meno pacifiche e non può essere altrimenti se si considera che la conoscenza storica di un fenomeno linguistico si basa su documenti che, tuttavia, a volte possono mancare o essere insufficienti per una loro descrizione puntuale. Wagner nella sua magistrale opera sulla fonetica sarda (HLS), poi ampliata da Paulis (FSS), riuscì a portare a sintesi queste conoscenze, sintesi di cui, considerato il periodo durante il quale svolse le sue indagini, le conclusioni sono largamente da condividere. La successiva edizione, da parte del Sanna, del Codice di S. Pietro di Sorres consentì di disporre di un testo fondamentale per un più esauriente inquadramento della questione.

Nell’introduzione alla fonetica wagneriana Paulis si è valso puntualmente dei nuovi dati per tracciare il nuovo orizzonte, ormai quasi definitivo, al quale le nostre informazioni sono pervenute.

In generale le conclusioni di Wagner sono state convalidate, con qualche distinguo, dagli autori successivi, i quali in pratica hanno operato una retrodatazione dell’insorgenza delle palatalizzazioni rispetto al sec. XVI. È questo infatti il periodo che il linguista tedesco, sulla scorta degli esperimenti poetici dell’Araolla, assumeva come riferimento cronologico. Non che egli non avesse intravisto, in fonti anteriori, sporadiche interferenze che segnalavano una più antica insorgenza del trattamento. Wagner, anzi, individuava in un nucleo di documenti del sec. XV, pubblicato dal Tola nel suo monumentaleCodex, altri dati utili per una più soddisfacente datazione della fase in cui l’innovazione in questione prese piede per poi consolidarsi. A tale nucleo appartiene, per l’esattezza, anche una parte del citato Codice di Sorres, già pubblicata dal canonico Giovanni Spano poco dopo la metà dell’Ottocento. 144

Sa paristoria de Maria Pira e de Pedru de Flumen a contivizu de Dometilla Mannu

In custa paristoria si fentomat pro sa prima borta sa idda de Orria Pithinna, preguntada dae sos istoricos e ammannizada da Angelinu Tedde e traduida in limba sarda logudorese dae  Dometilla Mannu

Dometilla Mannu

In s’annu de Nostru Segnore millechentutrintachimbe, fortzis fit in una note de bennarzu, Petru de Flumen cun Maria Pira atraesseit,a caddu, sos caminos chi dae s’abbadia de Salvennor: andaiant a s’ala de Osteana de Montes e Nugulbi e a pustis traviaiant a Santa Giusta. Tzoccheit sa janna de sa sorre de Maria Pira, chi istaiat in sa prima intrada de sa bidda de Orria Pithinna. Abberzeit sa janna una fèmina de unos 50 annos, in su lugore lenu de s’istearica, reconnoscheit sa sorre, chi si li presentaiat cun sa cara istraca e cun sa mata tunda. Los fateit intrare, e luego fateit corcare a Maria subra a sa tremata de paza in su letu de linna e nareit:

- E ite t’est cumbinadu Mari’-

Sa fèmina resteit cagliada, ma Petru de Flumen, òmine lieru, de Villa Alba ma aposentadu in Salvennor, narzeit:

-Est a probe a ojire su fiore ch’amus semenadu in beranu, ma tue gia l’ischis chi deo so òmine lieru e istende a s’usàntzia

Non mi la poto cojuare. Creo chi si istamus inoghe finas a cando s’at a illierare, posca amus a poder afidare e lograre gasi unu pagu de serenidade, a crebu de su priore de Salvennor-

 -Gia ses pagu iscabadu! li rispondeit Giusta, tue l’ischis bene chi essende de propiedade de su cumbentu, sos padres de Salvennor non ant a atzetare cun piaghere Custu coju. Gia bos nde podiazis istare de custas cosas, e tue gia ses òmine de isperièntzia gia! Maria est teraca de sa cheja e totu su ch’est sou est de sa cheja matessi. Lu naro ca nde so segura, su preìderu de Santu Nicolau non l’at a beneigher custu coju.

Sos procuradores de Salvennor, ischende chi isto in custa bidda, non ant a bistentare a nde fèrrere a inoghe, custu est logu de passazu, ch’atopat zente dae totu sos bàtoro cabos de sa terra, calecune de seguru at a iscobiare inue bos sezis cuados.

Sa chida in fatu nascheit sa criadura, ma mancari postu a cara a s’evidèntzia, su preìderu de Santu Nicolau, non cherfeit cojuare sos duos fuidores.

Peristantu Maria allataiat su pitzinnu, sa sorre chircaiat de li dare sustentu comente podiat. S’isterzamine fit ruzu, brocas male finidas, truddas de urtiju e de linna, non mancaiat una cascia pro su pane, e nicios picados in su muru rùstigu, pro remonire sa provista de su lardu. Ebbia sos pannos de linu daiant apenas de lugura a cussa domo.

Sa domo bascia e minore cun copertura a tèulas ruzas, sa janna de linna cun s’isperiadore pro bìdere sa zente de passazu e sa chi tzocaiat inie, mustraiant sa poberesa de sa mere, chi dae tempus fit lìera dae onzi òbrigu de terachiu.

Sa biddighedda de unas 40 famìlias e 120 abitantes aiat mantesu su matessi disignu de sa villa romana antiga, chi in su passare de su tempus, maicantas boltas fit istada abbandonada e

Torrada a abbitare. In sas campagnas a inghìriu non mancaiat sa linna, gasi comente non mancaiat s’abba in su riu de Badu ‘Olta, e sas tancas de trigu de unos cantos òmines lìeros Chi daiant sa seguresa a sos teracos a zoronada, de àere su pane totu s’annu. In su padente b’agataiant allovronzu sas crabas. Su lardu de porcu non mancaiat e su puddarzu fit bundante. Su chi mancaiat si buscaiat catziende e pischende in sas pischinas.

Su negùsciu fit pratigadu iscàmbiendesi sas mercantzias e fit favoridu dae su fatu chi sa biddighedda fit rughe de càminu pro chie andaiat dae Tàtari a Piaghe, Osteana de Monte a Nugulbi E Castelgenovese e Coghinas.

Non passeit mancu unu mese, a cando su procuradore de sa cheja de Salvennor, Costantinu De Thori, si presenteit a caddu acumpanzadu dae duos teracos, tzoccheit sa janna e Bideit a primu a Maria allatende su pitzinnu, e posca agateit a Petru.

- Bos arresto. Tue Petru ses lìeru e tales as a imbarare, ma tue Maria ses teraca de Salvennor a as a torrare a inie cun fizu tou.

A tie Petru, si as àere rispetu de sas usàntzias, t’apo a dare una de fizas mias, chi sunt a paris cundissione tua.

Ma comente t’est bènnidu a conca de ti furare a Maria ischende chi fit de Salvennor.

- Ajò seddade sos caddos in presse chi partimus a Salvennor!

Dae sos ojos de Maria broteint lagrimas mudas, chi che faleint in cara a su pitzinnu chi fit suende. Petru l’abbaideit cun una mirada resinnada.

Setzeint a caddu in presse, e leeint su caminu chi giughiat a Montes e pustis a Salvennor.

Sos pecados fatos in beranu si pianghent in ijerru, sos de pitzinnia a betzesa, narat su diciu.

Maria si ch’andeit resinnada a su destinu sou gasi comente Petru. Issa teraca de su cumbentu, Petru a pustis de s’aconcada, deviat imbarare in pannos suos e già fit pessende a si Cojuare sa mezus fiza de Costantinu De Thori

Orria Pithinna, villaggio, monastero, chiese a cura di Marco Milanese, presentazione di Angelino Tedde, foto di Carlo Moretti

 È documentato che dall’alto al tardo medioevo l’isola era popolata da numerosissime ville (chi sostiene 745 e chi oltre mille) che tra il secolo XIII e XIV furono abbandonate o quantomeno persero le caratteristiche abitative precedenti per diventare veri e propri villaggi di epoca moderna con un maggior numero di abitanti, ma assai ridotte rispetto alle ville medievali (circa 290/300).

Le ville in genere potevano avere da dieci a cento fuochi fiscali  e da 40   a 400 abitanti  che pagavano le tasse.

Tedde, Mannu, Casula, Milanese, Piras

La nostra Orria Pithinna era una di queste ville identificata dall’équipe di Marco Milanese nelle tanche che guardano il fianco ovest di Santa Maria Maddalena e che degradano da Monte Columba. Presso la villa scorreva il rio Iscanneddu secondo gli storici, probabilmente dotato di un mulino ad acqua.

Il villaggio era situato in un crocevia di strade che conducevano a Tatari e a Piaghe a Oesteana de monte (Osilo) a Nugulbi e poi verso Ampurias e Coghinas. Diciamo pure che la villa aveva buone a proficue localizzazioni stradali agricole, aziendali, con abbondanza di terreni seminativi, pascolativi e animali e boschi.

A questo si aggiungano uomini e donne liberi e servi di nobili imparentati, con i giudici di Torres.

La villa di Orria Pithinna

Nell’anno del Signore 1135 quasi sicuramente la nostra villa esisteva come ricordava il toponimo, i documenti storici, e confermano oggi le ricerche archeologiche. All’epoca, dall’altra parte della strada, vale a dire sullo spiazzo che contiguo a sos Renalzos, sito della chiesa e non solo, esistevano fattorie, terreni, boschi, animali e uomini liberi e servi della famiglia dei giudici di Torres. Non sappiamo in che rapporti fossero gli abitanti della villa con la famiglia De Thori, ma di certo nel villaggio abitavano servi legati ad essa da vincoli di servitù e quindi di lavoro e uomini liberi capeggiati dal majore de villa e da altri pochi notabili che la governavano. Esisteva anche la chiesetta parrocchiale del villaggio, intestata a san Nicola, in linea con l’area di sedime dove 70 anni più sarà edificato il monastero.

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